sexta-feira, 1 de março de 2013

La povertà nello spirito soglia dell'incontro con Dio

Nella morte noi tutti veniamo a trovarci di fronte alla grande povertà della nostra natura. Nella morte si compie l'obbedienza al destino del nostro essere ed in essa questa obbedienza perviene senz'altro alla sua crisi più radicale, alla sua problematicità più alta. Perché la morte scopre nel modo più acuto il carattere repellente, «annichilante» della nostra povertà: dove l'uomo sfugge di mano a se stesso, è rapito interamente a se stesso. Qui gli è totalmente occultata, e del tutto sottratta al suo controllo, la definitività della sua operazione vitale attuata nella povertà della libertà, l'unica cosa dunque che negli abissi della morte offre ancora un terreno, una solida consistenza e una durata -fedele. Nella sofferenza obbediente di questa profondissima impotenza, dove l'uomo non ha più se non la sua donazione, e anche questa solamente nell'esperienza di un totale depauperamento, si attua la «povertà nello spirito», la cui passione muta e senza nome ha trovato in Gesù la sua felice espressione: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46). L'obbediente do-nazione al proprio essere che con il suo stesso peso si sprofonda nella morte, diventa donazione «al Padre», compimento della triplice donazione in fede, speranza e carità. Abbandonandosi alla decisione del-la sua povertà, l'uomo, che lo sappia o no, si abbandona a Dio stesso. La «povertà nello spirito» diventa la soglia dell'incontro con Dio, la breccia per la conquista della trascendenza. In questo senso la povertà è, ancora una volta, non già un comportamento o una virtù facoltativa fra le altre, ma il segreto ingrediente di ogni atto trascendente, la radice di ogni «virtù teologale». Perché la nostra infinita povertà, alla quale noi ci affidiamo mediante la «povertà nello spirito», è come il profilo, il riflesso, qui, da questa parte del mondo, di quello splendore dell'infinità propria di Dio, nella quale, per grazia e misericordia di lui, dovremo trovare noi stessi nella pienezza della nostra esistenza. E in tutte le forme di questa povertà, convergenti e finalmente legate in fascio come raggi e annodate, quasi al loro centro, nella grande povertà della morte, Dio dà un pregustamento di sé.

Nella sua ineluttabilità si presenta categoricamente a noi la santa volontà di Dio: questa non è sospesa al di sopra della nostra contingenza arbitrariamente o senza significato, in maniera «non obbligante»; ma al contrario, ogni volta si scalfisce in essa come «ci-fra» della sua divina promessa. Così, i singoli aspetti della povertà della nostra esistenza sono altrettante possibilità del nostro divenire umano, da Dio promesse e imposte. Da esse egli ci parla, in esse ci presenta il calice della nostra missione. Prendendo e bevendo questo calice, noi facciamo che avvenga in noi la sua santa volontà.

J.B. Metz, Povertà nello spirito, 60-62.

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