quarta-feira, 20 de março de 2013

Pregare è riconoscersi creature

Santa Agnese in preghiera, le mani vuote, aperte e alzate: riconoscersi creatura davanti al Creatore.
Vetro dorato paleocristiano, sec- IV.
Come si è, così si prega. Nel rivolgerci a Dio ci mo­striamo come siamo. Chi non prega mai, ha tentato di allontanarsi da se stesso perché si è allontanato da Dio. Ma per quanto possa essere fuori della realtà, è molto più reale di colui che prega Dio con un cuore falso e bugiardo.

Il peccatore che teme di rivolgersi a Dio, che cerca di negarlo in cuor suo, è forse più vicino a confessarlo del peccatore che, ritto in piedi avanti a lui, sente or­goglio del suo peccato perché pensa che sia una vir­tù. Il primo è più onesto di quel che creda perché ri­conosce il suo stato e confessa che Dio e lui non sono in accordo tra loro. Il secondo non solo mente a se stesso, ma cerca di far mentire anche Dio, chiamandolo ad approvare la sua menzogna. Ecco il fariseo della parabola, il sant'uomo che praticava molte virtù, ma che mentiva di fronte a Dio perché credeva che la sua pietà lo rendesse migliore degli altri. Disprezzava i peccatori e adorava un falso Dio, che disprezzava lo­ro e lui stesso.

La preghiera è ispirata da Dio nelle profondità del nostro nulla. È il moto di fiducia, di gratitudine, di adorazione o di sofferenza che ci pone davanti a Dio, facendoci vedere lui e noi nella luce della sua ve­rità infinita, e ci spinge a chiedergli misericordia, forza dell'anima e aiuto materiale, di cui tutti abbiamo biso­gno. Chi fa una preghiera così pura che non chiede mai nulla a Dio, non sa chi sia Dio e non sa neppure chi egli sia, perché non conosce il bisogno che ha di Dio.

Ogni vera preghiera confessa in qualche modo la nostra dipendenza assoluta dal Padrone della vita e
della morte, è quindi un contatto vivo e profondo con colui che riconosciamo non solo come Signore, ma come Padre. Quando preghiamo davvero, solo allora esi­stiamo veramente. Da questa, che è una delle attività più perfette, il nostro essere si trova portato ad un'alta perfezione. Quando cessiamo di pregare tendiamo a ricadere nel nulla. È vero che continuiamo ad esistere, ma siccome la principale ragione della nostra esi­stenza sta nella conoscenza e nell'amore di Dio, quan­do interrompiamo il nostro contatto con lui, o ci ad­dormentiamo o moriamo. Certo non possiamo avere sempre né spesso una chiara percezione di lui. Per es­sere spiritualmente desti basta soltanto avere quell'abituale consapevolezza di lui che avvolge in un'atmosfera spirituale tutte le nostre azioni, senza peraltro colpire formalmente la nostra attenzione, eccetto che in alcu­ni momenti, di una percezione più viva. Ma se Dio ci abbandona così completamente da non essere più capaci di pensarlo con amore, eccoci allora spiritualmente morti.

Th. Merton, Nessun uomo è un'isola, 59-61.

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