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Santa Agnese in preghiera, le mani vuote, aperte e alzate: riconoscersi creatura davanti al Creatore. Vetro dorato paleocristiano, sec- IV. |
Il peccatore che teme di rivolgersi a Dio, che cerca di negarlo in cuor suo, è forse più vicino a confessarlo del peccatore che, ritto in piedi avanti a lui, sente orgoglio del suo peccato perché pensa che sia una virtù. Il primo è più onesto di quel che creda perché riconosce il suo stato e confessa che Dio e lui non sono in accordo tra loro. Il secondo non solo mente a se stesso, ma cerca di far mentire anche Dio, chiamandolo ad approvare la sua menzogna. Ecco il fariseo della parabola, il sant'uomo che praticava molte virtù, ma che mentiva di fronte a Dio perché credeva che la sua pietà lo rendesse migliore degli altri. Disprezzava i peccatori e adorava un falso Dio, che disprezzava loro e lui stesso.
La preghiera è ispirata da Dio nelle profondità del nostro nulla. È il moto di fiducia, di gratitudine, di adorazione o di sofferenza che ci pone davanti a Dio, facendoci vedere lui e noi nella luce della sua verità infinita, e ci spinge a chiedergli misericordia, forza dell'anima e aiuto materiale, di cui tutti abbiamo bisogno. Chi fa una preghiera così pura che non chiede mai nulla a Dio, non sa chi sia Dio e non sa neppure chi egli sia, perché non conosce il bisogno che ha di Dio.
Ogni vera preghiera confessa in qualche modo la nostra dipendenza assoluta dal Padrone della vita e
della morte, è quindi un contatto vivo e profondo con colui che riconosciamo non solo come Signore, ma come Padre. Quando preghiamo davvero, solo allora esistiamo veramente. Da questa, che è una delle attività più perfette, il nostro essere si trova portato ad un'alta perfezione. Quando cessiamo di pregare tendiamo a ricadere nel nulla. È vero che continuiamo ad esistere, ma siccome la principale ragione della nostra esistenza sta nella conoscenza e nell'amore di Dio, quando interrompiamo il nostro contatto con lui, o ci addormentiamo o moriamo. Certo non possiamo avere sempre né spesso una chiara percezione di lui. Per essere spiritualmente desti basta soltanto avere quell'abituale consapevolezza di lui che avvolge in un'atmosfera spirituale tutte le nostre azioni, senza peraltro colpire formalmente la nostra attenzione, eccetto che in alcuni momenti, di una percezione più viva. Ma se Dio ci abbandona così completamente da non essere più capaci di pensarlo con amore, eccoci allora spiritualmente morti.
Th. Merton, Nessun uomo è un'isola, 59-61.
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