segunda-feira, 23 de dezembro de 2013

23 Dicembre La nascita del nuovo Elia

San Giovanni Battista, Centro Aletti, Serbia.
Dio fa sorgere Giovanni Battista, come il nuovo ed ultimo Elia, colui nel quale si compie e si esaurisce la lunga discendenza del profetismo. Tutto il profetismo, infatti, non era che preparazione alla venuta di Dio. Ora Dio visiterà il suo popolo «come un sole che sorge dagli abissi» (Lc 1, 78).

E proprio quello che Zaccaria, non più incredulo come alla prima visita dell’angelo, ma illuminato dallo Spirito Santo (Lc 1, 67) e ripieno dello spirito di profezia riconoscerà in questo figlio, uscito dalla sua carne, del quale contempla con stupore la missione nello spirito: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo» (Lc 1, 76). In virtù dello sguardo profetico che penetra, oltre le apparenze sensibili, nel contenuto divino della storia sacra, Zaccaria vede nel bambino quel profeta per eccellenza — non soltanto profeta ma «più di un profeta» (Mt 11, 9) — che «camminerà davanti al volto di Dio» cioè che precederà il manifestarsi di Dio per «preparare le vie» di questa manifestazione «mediante la remissione dei peccati». E questa manifestazione non sarà il giudizio terribile portato su di un’umanità schiava della morte e del peccato, ma l’espressione della «tenera misericordia» che si alzerà come un’aurora dalla profondità degli abissi, come una luce insperata nel cuore delle ineluttabili tenebre. (...) La vocazione di Giovanni ci appare così esemplare di ogni vocazione, in quanto ogni vocazione è una missione. Ci appare inoltre esemplare di ogni vocazione in quanto ogni vocazione è elezione. Ciò spiega innanzitutto il carattere assolutamente gratuito della vocazione. Dio sceglie come e quando vuole, senza essere condizionato da nulla, in piena e sovrana libertà. Libertà, tuttavia, che non è arbitrio; se la libertà divina non è condizionata da nulla di esterno, essa è però l’espressione dei misteriosi consigli della sapienza e dell’amore. Questo appare eminentemente in Giovanni. Egli è scelto da Dio per una missione che Dio stesso gli destina, non in virtù di qualche merito precedente ma fin da prima che nascesse. «Egli sarà ripieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre» dice l’angelo a Zaccaria (Lc 1, 15). La Chiesa non esiterà ad applicargli, nell’introito della sua Messa, le parole con le quali il profeta Isaia designa l’eletto per eccellenza, il servo di Jhwh: «Jhwh mi ha chiamato fin dal seno materno, fin dalle viscere di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49, 1). Anche qui Giovanni Battista appare nella successione di tutti coloro che Dio aveva eletto nel corso della storia sacra per farne i propri strumenti. Poiché l’elezione è sempre in funzione di una missione. (...)

L’elezione appare così uno di quegli aspetti dei mores divini che si manifestano attraverso la storia sacra e che sono l’oggetto della contemplazione profetica. Come Maria ammirerà nell’incarnazione del Verbo la manifestazione della suprema potenza di Dio, così già Zaccaria ammira nell’elezione di Giovanni una meraviglia compiuta da Dio solo. Il Benedictus è quasi una profezia del Magnificat. Perciò tutto questo esordio del vangelo si svolge come una liturgia in cui i misteri si susseguono ai misteri, riempiendo di stupore gli angeli e gli uomini.

(J. Daniélou, Giovanni Battista, testimone dell’agnello, 14-17.)











sexta-feira, 20 de dezembro de 2013

21 Dicembre La visita di Maria a Elisabetta

Visitation, Arcabas (Jean Marie Pirot)
Compiendo il viaggio dalla Galilea alla Giudea, da Nazaret ad Ain-Karim, Maria non si piega a un evento della storia di questo mondo come avverrà per la sua venuta a Betlemme la notte della natività quando farà obbedienza a un editto dell’imperatore, e neppure obbedisce a un comando divino, come avverrà per la fuga in Egitto e il ritorno da quella terra in cui ogni volta un angelo del Signore informa Giuseppe in sogno sia del pericolo che minaccia il bambino, sia della morte di coloro che insidiavano la sua vita; non si conforma neppure a una prescrizione della Legge di cui adempirebbe minuziosamente le disposizioni, come ha abitudine di fare e come avverrà per la sua purificazione e la presentazione del bambino al Tempio quaranta giorni dopo la sua nascita. Tantomeno si reca da Elisabetta per verificare le parole dell’angelo, poiché la cugina la saluta chiamandola «Beata colei che ha creduto», e loda dunque la fede di colei che già ha creduto.

Maria non si dirige verso la montagna per mancanza di fede nella profezia o per un qualche dubbio su ciò che è accaduto in precedenza, ma perché spinta dalla gioia. Questo recarsi in visita ad Elisabetta risponde semplicemente al bisogno di Maria di essere là dove è necessario un servizio; questo viaggio rivela il bisogno di Maria di poter cantare la misericordia del Signore che viene a visitarla, andando a visitare colei che a sua volta ha ricevuto la visita del Signore.

Il tema della visita si ritrova in molte forme attorno al gesto di Maria: nel giorno dell’Annunciazione essa è stata visitata dall’angelo venuto a metterla a parte della sua elezione e a sollecitare il suo fiat. Ed Elisabetta da parte sua, come le ha rivelato allora l’angelo, è stata anch’essa visitata perché essa è al sesto mese, lei che era detta la sterile, e Dio ha posto fine alla sua vergogna. In un legame profondo con queste due visite si compie quest’altra visita di Maria verso la montagna, in una città di Giuda.

Il tema della visita ritorna sovente nell’evangelo dell’infanzia secondo Luca: visita dell’angelo Gabriele a Zaccaria e a Maria, visita di Maria ad Elisabetta, visita dei pastori alla mangiatoia, visita di Maria e di Giuseppe al Tempio, più tardi visita di Gesù, a dodici anni, in questo stesso Tempio. Tutte queste visite presenti nell’evangelo dell’infanzia, e di cui la Visitazione non è che un esempio, non sono che un’espressione multiforme della visita di Dio.

La visita di Dio in tutta la Scrittura indica il suo intervento, si tratti di giudizio odi salvezza. Dio visita quando giudica, e Dio visita quando salva. E Maria nel Magnificat canta la visita di Dio agli uomini, di cui essa è strumento, canta il giudizio e la salvezza: i potenti rimandati a mani vuote e i poveri esaltati, i sazi affamati e gli affamati colmati di beni, i superbi umiliati e gli umili glorificati. Questo canta Maria durante la sua visita a Elisabetta.

La visita che essa compie a sua cugina, d’altronde, è a immagine di quella che il Verbo si prepara a fare agli uomini incarnandosi nel suo seno, perché vi è una somiglianza profonda tra ciò che avviene nel seno della vergine di Nazaret e ciò che avviene sulla via che separa Nazaret da Ain-Karim. Il Verbo di Dio, che viene a visitare gli uomini facendosi uomo, visita già i suoi in questo gesto di Maria, preoccupata di annunziare al mondo l’incarnazione. Questa visita difatti si compie a immagine dell’incarnazione; è la più grande che si muove, che viene a servire portando in se stessa colui che sta prendendo nel suo seno la forma di servo e che viene «non per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45).

J.Goldstain, Harmoniques évangéliques, 18-20.



quinta-feira, 19 de dezembro de 2013

20 Dicembre - L’annuncio a Maria

Annunciazione, Arcabas.
La fede cristiana situa sempre la sua arché, il suo principio, in una apocalisse: apocalisse del Risorto in Paolo per l’espressione originaria dell’annuncio del mistero cristiano, apocalisse del battesimo al Giordano in Marco e nella prima forma letteraria assunta dai vangeli, apocalisse dell’Annunciazione in Luca. Ma l’apocalisse lucana si distingue per la sua discrezione. Tranne l’angelo, tutti gli elementi apocalittici sono scomparsi. Non ci sono più cieli aperti, nè fulmini, nè terremoti. Tutto si svolge in un villaggio di Galilea chiamato Nazaret, modesto e sconosciuto, e nell’integrità del cuore di Maria.

L’apocalisse è divenuta rivelazione. Il suo quadro non sono più i cieli squarciati e la gloria del Signore che illumina il firmamento, ma un cuore reso dalla fede perfettamente ricettivo alla Parola. «Maria conservava fedelmente tutte queste cose e le meditava nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Questo atteggiamento è lo stesso che mostrano tutti i beneficiari di un’apocalisse ma Luca, fra tutti gli elementi apocalittici, ha conservato solo il più interiore. L’apocalisse si svolge non a livello dei segni esterni ma a quello della fede attenta e sensibile. In questo stesso senso, in un ambiente probabilmente molto vicino agli ambienti lucani, l’autore della lettera agli Efesini così pregava il Padre: «Vi conceda uno spirito di sapienza e di rivelazione (apocalisse) per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo il vigore della sua forza, quella che ha manifestato in Cristo, risuscitandolo dai morti» (Ef 1,17-20).

Sembra quasi di ascoltare un commento al racconto dell’Annunciazione. Questo testo esprime molto bene il senso dell’Annunciazione, che è manifestazione della potenza di Dio in Cristo. Ed è proprio questo che Maria riconosce nella fede, grazie all’illuminazione degli occhi del cuore, al pari dei credenti di tutte le generazioni future. Così, al prologo della sua opera, Luca annuncia che l’apocalisse fondamentale è l’irruzione della Parola nel silenzio e nell’umiltà, nella bassezza della vita di una povera vergine. Sotto questo punto di vista, si possono accostare il prologo di Giovanni e quello di Luca: mentre Giovanni riprenderà il tema della Parolà per seguirlo risalendo fino a Dio, Luca si interesserà piuttosto alla discesa di questa Parola verso i poveri e i semplici e nel mondo intero. (...)

Questa Parola è la Parola di Dio che trasforma e crea. In Luca, come in tutta la Bibbia, la Parola rivoluziona l’esistenza degli uomini. Di una vergine essa fa una madre, di una giovane galilea la serva del Signore nel progetto divino della salvezza. La Parola rovescia i potenti ed innalza gli umili, rinvia i ricchi a mani vuote e sazia gli affamati. Ricevendo la Parola ci si apre infatti non alla sicurezza tranquilla di gente senza storia, ma ail’avvento apocalittico e all’avventura drammatica di un mondo nuovo. Per questo la pericope dell’Annunciazione non ha una conclusione. Essa si apre su un susseguirsi di eventi: «Mi avvenga secondo la tua Parola», secondo quella Parola che invia Gesù a Gerusalemme, al monte Calvario e a quello dell’Ascensione, secondo quella Parola che mette Pietro e Paolo sulle strade del mondo, secondo quella Parola la cui crescita e il cui impatto prolungano la discesa di Dio nella storia degli uomini.

L.Légrand, L’annonce à Marie, 347-348. 350.



quarta-feira, 18 de dezembro de 2013

19 Dicembre - L’annuncio a Zaccaria

Annuncio a Zaccaria, tempera su carta, Monastero di San Lorenzo, Amandola Marche, Italia 2007.
Zaccaria è sacerdote, Elisabetta appartiene alla discendenza di Aronne.

«Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore» (Lc 1, 6), eppure sembrano oggetto di un castigo divino. «Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni» (Lc 1,7).

Si ha l’impressione che la storia di Abramo ricominci da capo. Come avvenne per Abramo e Sara, Dio stesso interverrà con la sua Parola e un angelo sarà il suo messaggero. (...)

L’apparizione di Gabriele nel santuario durante l’offerta della sera manifesta l’ormai prossimo compimento della profezia da lui annunciata nel libro di Daniele riguardo alla venuta del Messia e all’unzione di un Santo dei Santi (cf. Dn 9,20-27). E mentre annuncia a Zaccaria l’esaudimento della sua preghiera, l’angelo Gabriele, ritto alla destra dell’altare, descrive la missione del figlio che Elisabetta gli darà. Dice innanzitutto il suo nome, che è già rivelativo: «Giovanni», che significa «JHWH fa grazia».

Dio risponde alla preghiera dell’uomo con la sovrabbondanza della sua grazia. Poi Gabriele sottolinea la gioia portata dalla nascita del bambino; e già si profila la gioia messianica che colmerà l’attesa di Israele.

La consacrazione di Giovanni per una missione particolare è affermata in termini che ricordano la storia di Sansone (cf. Gdc 13,4. 13-14) e l’istituzione del nazireato (cf. Nm 6,3). Questa missione consiste nel camminare dinanzi all’inviato di JHWH con lo spirito e la forza di Elia, cioè in qualità di profeta. La pienezza dello Spirito Santo che discende su di lui fin dal seno materno lo pone nel solco di Geremia (cf. Ger 1,5) e il suo ruolo di riconciliatore messianico adempie la speranza intravista da Malachia al termine dell’Antico Testamento (cf. Ml 3, 24): deve preparare il popolo all’instaurazione del regno.

Nel momento m cui per Israele si annunciano questi giorni decisivi, Zaccaria si vede ridotto al silenzio. Ha posto la stessa domanda di Abramo: «Come posso conoscere questo?» (cf. Gen 15, 8), ma senza la fede di Abramo.

Oppone la propria situazione, così come la vive, alla Parola creatrice di Dio. Come il primo Adamo esige un sapere più grande della rivelazione che gli viene data, ma la Parola di Dio si dà testimonianza da se stessa: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? — risponde Dio a Mosè dubbioso ed esitante. — Non vi è forse Aronne, tuo fratello? Gli parlerai e metterai sulla sua bocca le parole da dire» (Es 4,11. 14-15).

Una medesima parola di vita attraversa la carne dei due sposi rendendo l’una feconda e l’altro muto. Zaccaria, ridotto al silenzio, impotente a pronunciare la benedizione finale deve scomparire davanti al solo che è in grado di pronunciarla e di portare a compimento la liturgia iniziata.

Poi Zaccaria, una volta guarito, benedirà Dio, ma la benedizione sul popolo sarà data alla fine dell’evangelo (cf. Lc 24,50-51) da Gesù, che Pietro chiamerà il servo inviato a portare la benedizione (cf. At 3,26). (...)

Con essa si compirà, oltre ogni speranza, la promessa fatta da Dio ad Abramo: «In te saranno benedette tutte le tribù della terra» (Gen 12,3).

Ph. Bossuyt - J. Radermakers, Jésus Parole de Li Grcice selon saint Luc, 95-98.



terça-feira, 17 de dezembro de 2013

18 Dicembre - Il giusto Giuseppe

San Giuseppe, tempera acrilica su legno, Monastero di San Lorenzo, Amandola Marche, Italia.
In che cosa consiste la giustizia di Giuseppe? Nulla ci viene detto della sublime giustizia a causa della quale Giuseppe ha creduto nell’intervento divino; a differenza della Vergine, infatti, egli non svolge alcuna parte nella concezione verginale. La sua giustizia si compie quando permette a Dio di sormontare le difficoltà che crea una nascita senza padre, infamante per gli uomini. In compenso Giuseppe ha un ruolo capitale nella nascita legale. Come Maria ha obbedito in qualità di serva del Signore per concepire il Figlio dell’Altissimo, così egli deve obbedire per divenirne il padre. L’indugio che lo abbandona alle sue sole risorse non è riferito per interessarci alle sue angosce o alla sua virtù morale, ma per rivelare come si realizza il piano divino. Dio solo conduce lo svolgersi degli avvenimenti, ma non per questo disdegna il concorso degli uomini. È in nome della stirpe davidica, in nome d’Israele, come rappresentante del popolo eletto che, per ordine divino, il giusto Giuseppe accetta il mistero della nuova Alleanza. Se Luca, evangelista di Maria, racconta la concezione e la nascita del Figlio della Vergine, Matteo riferisce la nascita del Messia, del Figlio di David.

Giuseppe si mostra giusto non in quanto osserva la Legge che autorizza il divorzio in caso di adulterio, né perché si dimostra buono,
nè perché egli debba render giustizia ad una innocente, ma per il fatto che egli non vuole farsi passare per padre del bambino, Figlio di Dio. Se egli teme di prendere con sé la sua sposa, Maria, non è per una ragione profana; è perché egli scopre una «economia» superiore a quella del matrimonio che intendeva contrarre.

Il Signore ha modificato il suo disegno su di lui; ch’egli accetti di assicurare l’avvenire della sua eletta. Giuseppe si ritira, avendo cura, nella delicatezza della sua giustizia verso Dio, di non «divulgare» il mistero divino di Maria. (...)

Giuseppe non è soltanto un modello di virtù, ma l’uomo che ha svolto una funzione indispensabile nell’economia della salvezza. Il giusto Giuseppe può venir paragonato a Giovanni il precursore.

Giovanni annuncia e indica il Messia; Giuseppe accoglie il salvatore d’Israele. Giovanni è la voce che si fa eco della tradizione profetica; Giuseppe è il figlio di David che adotta il Figlio di Dio. A motivo della sua proclamazione ufficiale, Giovanni è Elia, il grande profeta; a motivo dell’umile accoglienza ch’egli fa all’Em-manuele nella sua stirpe, Giuseppe è il giusto per eccellenza. Come tutti i giusti, egli aspetta il Messia, ma solo lui riceve l’ordine di gettare un ponte tra i due Testamenti; molto più di Simeone che prende Gesù tra le sue braccia, egli accoglie Gesù nella propria stirpe. Giuseppe reagisce come i giusti della Bibbia davanti a Dio che interviene nella loro storia: come Mosè che si toglie i sandali, come Isaia terrificato dall’apparizione del Dio tre volte santo, come Elisabetta che si chiede perché la madre del suo Signore venga da lei, come il centurione del vangelo, come Pietro che dice: «Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore» (Lc 5,8).

X.-L. Dufour, Studi sul vangelo,103-108.


17 dicembre - Nella storia degli uomini


All’inizio del Nuovo Testamento si trova l’uomo Gesù, che viene dalla storia degli uomini: con la sua genealogia Matteo introduce cautamente la lunga e confusa storia dell’Antico Testamento nel Nuovo, che è incominciato con Gesù Cristo. In una triplice serie di quattordici generazioni, egli riprende, in certo qual modo, tutta questa storia e la conduce a colui per il quale soltanto, in definitiva, essa è esistita. Egli mostra che questa storia, su tutte le sue strade, in maniera misteriosa mette in luce Cristo; fa vedere che, anche in passato, si trattava sempre e solo dell’unico Dio, che visitava il suo popolo e che ora in Gesù Cristo è divenuto il fratello degli uomini. (...)

La storia, in cui fece il suo ingresso Gesù, è una storia normalissima, con tutti gli scandali e le viltà che si incontrano tra gli uomini, con tutti i progressi ed i buoni propositi, ma anche con tutte le colpe e le bassezze: una storia estremamente umana. Le quattro donne, che sono nominate nella genealogia, sono quattro testimonianze della colpa umana: tra di esse è la prostituta Rahab, che con uno stratagemma fece avere in mano Gerico agli immigrati israeliti; tra di esse vi è la moglie di Uria, della quale David s’impadronì con adulterio ed omicidio. Le cose non sono diverse se guardiamo agli uomini: né Abramo, nè Isacco, né Giacobbe sono figure ideali; non lo è David e neppure Salomone; e, infine, incontriamo anche dei tiranni, come Achaz e Manasse, il cui trono è bagnato dal sangue delle persone innocenti uccise. È una storia tetra quella che conduce a Gesù, non certo senza speranze e senza momenti positivi, ma in complesso una storia di miseria, di colpa, di fallimento. È questo l’ambiente in cui potrebbe nascere il Figlio di Dio? — ci verrebbe voglia di domandarci. La Scrittura risponde: sì. Proprio questo ci è stato dato come segno. L’incarnazione di Dio non è un risultato dell’ascesa dell’uomo, ma un risultato della discesa di Dio. (...)

La genealogia di Matteo incomincia con Abramo ed è, quindi, una testimonianza della fedeltà di Dio, il quale ha adempiuto la promessa fatta in precedenza ad Abramo: essere il portatore di una benedizione per tutta l’umanità. Tutta la genealogia, con tutti i suoi disordini, con i suoi alti e bassi, è una lampante testimonianza della fedeltà di Dio, che mantiene la sua Parola malgrado tutti i fallimenti, nonostante tutta l’indegnità degli uomini. L’evangelista Luca, che ci offre parimenti una genealogia di Gesù (Lc 3,23-28), ha scelto un diverso punto di vista. Egli fa risalire la genealogia del Signore non soltanto ad Abramo, ma fino ad Adamo, fino alle mani di Dio che plasmarono l’uomo. Con ciò egli vuole indicare che la comunità di Gesù non solamente è un nuovo Israele, un nuovo popolo di Dio, che Dio raduna per sé in questo mondo, ma vuol affermare che la missione di Gesù è diretta a tutta l’umanità. Non è salvezza per un gruppo, per una cerchia, essa è destinata all’umanità tutta, al mondo. Solamente in Gesù Cristo la missione dell’uomo giunge alla sua vera meta, in lui solo è completamente realizzato il progetto creativo «uomo»; in lui ci è apparsa l’umanità del nostro Dio. Nel volto di Gesù Cristo appare chi è Dio e si manifesta chi è l’uomo.

(J.Ratzinger, Dogma e predicazione, 263-266.)