quinta-feira, 7 de março de 2013

Fame e sete del Dio vivente

Remagen, Renânia-Palatinado, Germania, sec. XII
L'uomo si nasconde indietro al albero, si nasconde e si mostra, cerca Dio... Sarebbe Adamo? Saremmo noi?
Il digiuno tocca l'uomo in uno dei suoi ritmi più vitali: il doppio ritmo della nutrizione, che si presenta successivamente come bisogno e come soddisfazione. Già dai primi istanti della sua esistenza fuori dal seno materno, l'essere umano è strutturato dalla successione di questi due momenti. E così che può restare in vita e gli è possibile situarsi progressivamente di fronte alle cose che lo circondano. Il neonato ha fame o è sazio. Bisogno e soddisfazione, fame e sazietà, con la loro caratteristica di sofferenza e di godimento, si alternano continuamente.

Più l'adulto si sviluppa verso la profondità del suo essere, più profondo diventa anche il bisogno ed è meno soddisfatto dalla nutrizione materiale che gli è presentata. Viene un giorno in cui la fame e la sete del Dio vivente nascono in lui e, dominando la nutrizione materiale, si scolpiscono nel suo corpo. «Come un cervo anela alle fonti d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. La mia anima ha sete di te!» (Sal 42,2-3). Da questo momento, solo Gesù può saziare perfettamente la sua sete: «Chi ha sete venga a me e beva... Diceva questo dello Spirito che dovevano ricevere» (Gv 7,37.39).

Il digiuno fa presa profondamente sull'uomo. Lo ferisce anche, ma senza nuocergli, a patto che l'astinenza corporale orienti fedelmente verso un'astinenza più profonda e spirituale, che, a dire il vero, costa ancora di più all'uomo: l'assenza di Gesù, lo sposo.

Rifiutare il cibo del mondo significa che vogliamo esprimere anche col corpo la nostra fame del secolo venturo e di Gesù stesso, il pane disceso per noi dal cielo (cf. Gv 6,33). Quando il digiuno è vissuto secondo questa prospettiva, mette in movimento, all'interno dell'uomo, un processo di maturazione spirituale con il quale, lentamente ma sicuramente, questi viene trascinato verso la sua nuova realtà di esistenza, verso il suo essere-nello-Spirito santo. Notiamo di passaggio che il digiuno eucaristico prende il suo significato e la sua forza invisibile dallo stesso processo. La tensione scavata dal digiuno non è tolta che dalla comunione sacra-mentale con Gesù, così come, al di fuori della santa comunione, non è pacificata che nell'intimità della preghiera con Gesù. Ciò facendo, il digiuno e la preghiera operano in profondità per lo sviluppo psicologico dell'uomo. Contribuiscono, infatti, fino a un certo punto a cancellare le tracce del peccato in lui. Anche il bisogno psicologico si acceca, e spesso, così pesantemente gravato dalla passione, subisce una trasformazione fondamentale. Non basterebbe, infatti, sublimare il bisogno di nutrimento corporale sul piano spirituale con il solo digiuno. Esiste, infatti, una golosità spirituale, altrettanto egocentrica di quella materiale e che ugualmente frena la libera attività della grazia in noi. Al contrario, il digiuno esige ben di più. Si tratta di rinunciare ad ogni appetito egocentrico, e di trasformare ogni bisogno, qualunque esso sia, in un desiderio dell'altro, paziente e rispettoso: infatti solo l'altro nella sua alterità irriducibile può donarsi a noi, liberamente e senza costrizioni.

A. Louf, Signore, insegnaci a pregare, 118-119.

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