segunda-feira, 11 de março de 2013

La solitudine fornace di trasformazione

Giona è generato un'altra volta al grembo del pesce, acquarella 1996, Monastero Tupasy Maria, Paraguay.
Quando Antonio udì le parole di Gesù: «Va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri... poi vieni e segui-mi» (Mt 19, 21), le prese come un invito a fuggire le coartazioni del suo mondo. Lasciò la famiglia, visse poveramente in una capanna al limite del villaggio e occupò il tempo nella preghiera e nei lavori manuali. Ma presto comprese che gli si chiedeva di più. Bisognava che fronteggiasse i suoi nemici, l'ira e la cupidigia, tenesse testa ai loro assalti e si trasformasse intera-mente in un nuovo essere. Il suo vecchio e falso io doveva morire e un nuovo io doveva nascere. Per cui egli si ritirò nella completa solitudine del deserto.

La solitudine, infatti, è la fornace della trasformazione. Senza di essa, rimaniamo vittime della nostra società, continuiamo a essere avvinti nelle illusioni del falso io. Gesù stesso entrò in questa fornace. Qui, egli fu tentato dalle tre suggestioni del mondo: essere impor-tante – «cambia le pietre in pani» (Lc 4, 3 ), essere in vista — «buttati giù» (Le 4, 9) ed essere potente — «ti darò tutti questi regni» (Lc 4, 5). Qui, proclamò Dio come l'unica fonte della sua identità («devi adorare il Signore tuo Dio e servire lui solo» [Lc 4, 8] ). La solitudine è il luogo della grande lotta e del grande incontro col Dio-Amore, che offre se stesso come sostanza del nuovo io. Tutto ciò può suonare piuttosto urtante. Può evocare perfino immagini di pratiche ascetiche medievali. Una volta però che si sia fatta giustizia di queste fantasie, non tarderemo ad accorgerci che abbiamo a che fare qui col santo luogo in cui ministero e spiritualità si abbracciano l'un l'altro. Questo luogo è chiamato precisamente solitudine.

Se vogliamo cogliere il significato della solitudine, dobbiamo innanzitutto smascherare i modi in cui l'idea di solitudine è stata distorta dal nostro mondo. Ci diciamo a vicenda che ci occorre un po' di solitudine nelle nostre vite. Quello a cui ci riferiamo in questo caso è un tempo e un luogo tutto per noi, in cui non siamo importunati dagli altri, possiamo sviluppare i nostri pensieri, esprimere le nostre insoddisfazioni, in una parola fare le nostre cose, quali che siano. Come dire che per noi la solitudine significa il più delle volte «privacy». E giungiamo all'ambigua conclusione che la solitudine è un diritto di tutti. Essa si pone così come una proprietà spirituale, per la quale possiamo concorrere sul libero mercato dei beni spirituali. Ma c'è di più. Pensiamo alla solitudine anche come a una stazione di servizio dove possiamo ricaricare le nostre batte-rie o anche come all'angolo del ring dove le nostre ferite sono lenite, i nostri muscoli massaggiati e il nostro coraggio rinvigorito con slogan di circostanza. In breve, concepiamo la solitudine come il posto in cui raccogliamo nuove forze per continuare a sostenere la competizione della vita. Ma questa non è la solitudine di Giovanni Battista, di Antonio, di Benedetto... La solitudine non è un luogo terapeutico privato. Piuttosto, è il luogo della conversione, il luogo dove il vecchio io muore, il luogo dove si verifica la comparsa del nuovo uomo e della nuova donna.

H.J.-M. Nouwen, Silenzio, solitudine, preghiera, 27-29.

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