sábado, 23 de março de 2013

Conversione del bisogno in desiderio

Livia come orante, s. I a.C.
La preghiera, come già spiegava sant'Agostino, è un'attività di conversione: non cambia il disegno di Dio, ma cambia noi conducendoci ad accettarlo e a consentirvi. È nella preghiera dunque che si compie questa specie di alchimia, se così ci si può esprimere, che trasforma i nostri «bisogni» in «desiderio». Si trat­ta non tanto di «desideri» al plurale che potrebbero non essere che altrettante manifestazioni dei bisogni, ma di quest'unico desiderio che consiste nell'essere tesi verso ciò che solo trasformerà il nostro vuoto in pie­nezza; in linguaggio cristiano nell'essere tesi verso colui che è l'unico necessario.

I nostri bisogni ci fanno ricercare una soddisfazione per noi stessi; il desiderio, al contrario, è quell'atteggia­mento di offerta che ci fa tendere verso l'altro per lui stesso. Il simbolo di questo passaggio dai bisogni al de­siderio è il silenzio nel quale, dopo aver chiesto di rice­vere cose da possedere, da consumare, non riceviamo risposta; accettiamo allora che sia colmato solo quel desiderio che Dio stesso ha messo nel nostro cuore e che il suo Spirito non cessa di esprimervi con le sue aspirazioni inesprimibili, alle quali ci è semplicemente chiesto di associarci. Liberandoci dai nostri bisogni, liberiamo il nostro desiderio. Il silenzio di Dio, il no­stro silenzio di consenso al suo silenzio ci liberano dal linguaggio del nostro egoismo e vi sostituiscono il linguaggio dell'amore.

Tali distinzioni possono aiutarci a interpretare le infinite variazioni sui temi complementari dei silenzi e delle parole di Cristo e dei cristiani, cui si sono dedicati gli autori spirituali di ogni tempo. Nel tempo in cui vive in Maria, «il Verbo eterno si confina nel silenzio», «l'onnipotenza è inattiva come se nulla potesse» (Guerric d'Igny, In Ann., 3,4); sulla croce Gesù pro­verà scoraggiamento e fiducia al tempo stesso. Si ab­bandona nell'istante stesso in cui è abbandonato; il suo grido è contemporaneamente, secondo Matteo e Marco, lamento e domanda: «Mio Dio, mio Dio, per-ché?», e secondo Luca è un'affermazione più forte del silenzio del Padre nel momento in cui gli risponde: «Nelle tue mani, affido il mio spirito...».

Fra il silenzio dell'infans, che non può ancora parlare, e quello del morente, che presto non potrà più farlo in questa vita, c'è uno spazio in cui sono situate tutte le parole che Cristo ci rivolge per invitarci all'amore. Pa­role di uomo rivolte a uomini. Per esprimere il proprio mistero Gesù ha fatto uso delle nostre parole, del lin­guaggio del suo tempo e del suo ambiente. È partito dai bisogni di quanti lo attorniavano, dai bisogni di tutti gli uomini, per trasformarli in desiderio. E per insegnarci a farlo, ha scavalcato i propri bisogni, ha ri­nunciato a soddisfarli, a cominciare da quello, così profondo in tutti, di non morire. Gesù è stato puro desiderio: assenso al desiderio del Padre, accettazione del suo volere su di lui.

Gesù ha mutuato le sue immagini, il suo linguaggio di mediazione dalle gioie e dalle sofferenze degli uomi­ni, per insegnarci a elevarci al di sopra di esse partendo da esse. Non ci è chiesto, nella preghiera, di dimenti­carle, e neppure di soffermarcisi troppo, ma di trasfor­marle. E normale, è del tutto naturale che noi comin­ciamo col parlare di noi a Dio, prima di arrivare a par­largli di lui.

I nostri bisogni diventano l'occasione da cui nasce il nostro desiderio di incontrarlo, di colmare il desiderio che egli ha di noi. In questo cercarci a vicenda, è lui che ha tutta l'iniziativa.

J. Leclercq, Silence et parole..., 191-192.

Nenhum comentário:

Postar um comentário