quinta-feira, 14 de março de 2013

Necessità e forza del silenzio

Annunzio a Zaccaria, Tempera su carta, 2007, Monastero di San Lorenzo, Amandola, FM.
Caratteristica della solitudine è il silenzio, come la parola è la caratteristica della comunione. Tra silenzio e parola vi è lo stesso legame interiore e la stessa distinzione che c'è tra solitudine e comunione. L'una non può esistere senza l'altra. La giusta parola nasce dal silenzio, ed il giusto silenzio nasce dalla parola.

Tacere non significa restare muti, come parlare non significa chiacchierare. Il restare muti non crea la solitudine e il chiacchierare non crea comunione. «Tacere è sovrabbondanza, ebbrezza, sacrificio della parola. Ma il mutismo è empio, come un oggetto che è stato solo mutilato, non sacrificato... Zaccaria rimase muto, invece di rimanere in silenzio. Se avesse accettato la rivelazione, forse non sarebbe uscito dal Tempio muto, ma solo silenzioso» (Ernest Hello). La parola che crea di nuovo la comunità e la riunisce è accompagnata dal silenzio. «C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare» (Qo 3, 7). Come nella giornata del cristiano ci sono determinate ore dedicate alla parola, specie le ore del culto e della preghiera in comune, così nella giornata devono esserci pure determinati periodi di silenzio nell'ascolto della Parola, silenzio che nasce dalla Parola. Saranno soprattutto i momenti prima e dopo l'ascolto della Parola. La Parola non raggiunge gli uomini rumorosi, ma quelli che rimangono in silenzio. Il silenzio nel tempo è il segno della santa presenza di Dio nella sua Parola.

C'è un'indifferenza, o meglio un rifiuto del silenzio perché lo si vede come disprezzo della rivelazione di Dio nella Parola. In questo caso il silenzio è inteso erroneamente come atto solenne, quasi un mistico volersi sollevare al di là della Parola. Non si riconosce più nel silenzio la sua essenziale relazione con la Parola, l'umile ammutolire del singolo davanti alla Parola di Dio. Taciamo prima di ascoltare la Parola, perché i nostri pensieri sono già rivolti verso la Parola, come un bambino tace, quando entra nella stanza del padre. Taciamo dopo l'ascolto della Parola, perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Taciamo la mattina presto, perché Dio deve avere la prima parola, e taciamo prima di coricarci, perché l'ultima parola appartiene a Dio. Taciamo solo per amore della Parola, cioè proprio per non disonorarla, ma per onorarla e riceverla come si deve. Tacere, infine, non vuol dire altro che aspettare la Paro-la di Dio e venire via, dopo averla ascoltata, con la sua benedizione. Ognuno per propria esperienza sa che è necessario imparare a tacere in un tempo in cui predo-mina il parlare; e che si tratta appunto di imparare a tacere veramente, a far silenzio nel proprio intimo, a fermare una volta la propria lingua: questo non è altro che la naturale semplice conseguenza del silenzio spirituale.

D. Bonhoeffer, La vita comune, pp. 102-104.

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