quarta-feira, 6 de março de 2013

Nell'attesa di Dio

icono di D- Leandro Gouveia OSB
Il digiuno dovrebbe essere praticato a due livelli: anzitutto, come digiuno ascetico; quindi, come digiuno totale. Il digiuno ascetico consiste in una drastica riduzione del cibo, cosicché lo stato permanente di una certa fame possa essere vissuto come un richiamo a Dio e uno sforzo costante di mantenere la nostra mente orientata verso di lui. Chiunque l'abbia praticato, anche solo un po', sa che il digiuno ascetico anziché indebolirci, ci rende leggeri, unificati, sobri, gioiosi, puri. Allora si riceve il cibo davvero come un dono di Dio. Ci si trova costantemente orientati verso quel mondo interiore che, in modo inspiegabile, diventa di per se stesso una sorta di cibo. Per quanto concerne la quantità, la frequenza e la qualità del cibo da prendere durante il digiuno ascetico, non è il caso di discuterne qui; tutto dipende dalle nostre capacità individuali e dalle condizioni esteriori della vita di ciascuno. Ma il principio è chiaro: si tratta di uno stato di semi-fame, la cui natura «negativa» è sempre trasformata in forza positiva dalla preghiera, dalla memoria, dall'attenzione e dalla concentrazione.

Quanto al digiuno totale, esso deve essere necessariamente limitato nella sua durata e collegato con l'eucaristia. L'essenziale è viverlo come attesa, speranza, fame di Dio. Si tratta di concentrarsi spiritualmente su ciò che sta per venire, sul dono che si va a ricevere e per il quale si è pronti a rinunciare a tutti gli altri doni.

Si deve ancora ricordare che il nostro digiuno, per quanto limitato, se è un vero digiuno, condurrà alla tentazione, alla debolezza, al dubbio e all'irritazione. In altre parole, sarà un'autentica lotta e probabilmente soccomberemo molte volte. Ma proprio la scoperta della vita cristiana in quanto lotta e sforzo è l'aspetto essenziale del digiuno. Una fede che non ha superato i dubbi e la tentazione è raramente una fede autentica. Purtroppo, nessun progresso è possibile, nella vita cristiana, senza l'amara esperienza dell'insuccesso. Troppa gente comincia il digiuno con entusiasmo e vi rinuncia al primo insuccesso. Io direi che è proprio al primo insuccesso che avviene il vero collaudo. Se, dopo aver ceduto e aver dato libero corso ai nostri appetiti e alle nostre passioni, riusciamo a ripartire daccapo, senza rinunciare, non importa quante sono le volte in cui veniamo meno, prima o poi il nostro digiuno porterà i suoi frutti spirituali. Fra la santità e il cinismo disincantato c'è posto per la grande e divina virtù della pazienza, pazienza con se stessi, anzitutto. Non c'è scorciatoia per la santità; per ogni passo dobbiamo pagare l'intero prezzo. Così è preferibile e più sicuro iniziare con un minimo, appena un po' al di sopra delle nostre possibilità naturali, e incrementare poco a poco il nostro sforzo, piuttosto che tentar di saltare troppo in alto all'inizio e romperci qualche osso ricadendo a terra.

In breve: da un digiuno simbolico e formale, il digiuno inteso come obbligo e costume, dobbiamo far ritorno al vero digiuno, sia pure limitato e modesto, ma effettivo e serio. Mettiamoci con onestà di fronte alle nostre capacità spirituali e fisiche, e agiamo di conseguenza, ricordando però che non c'è digiuno che non sia una sfida a queste capacità e non introduca nella nostra vita una prova divina che le cose impossibili agli uomini sono possibili a Dio.

A. Schmemann, La grande Quaresima,106-107.

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