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San Pietro pentito, terracotta di Agostinho da Piedade OSB, 1636, Salvador de Bahia, Brasile. |
La preghiera deve nascere dalla conversione. Ecco che d'improvviso essa sgorga e diviene presto un fiume che nulla potrebbe più trattenere. È il frutto immediato della compunzione. Katanyssein e compungere, infatti, significano alla lettera: pungere, trafiggere. Lo sguardo misericordioso di Dio punge e trafigge il cuore. Il corpo allora si effonde in lacrime, e il cuore in preghiera. «Quando piangi», annota Isacco il Siro, «i tuoi pensieri mettono il piede sul cammino della vita eterna» (Discorso, 15). È vicina la nuova nascita.
Dapprima questa preghiera sgorga ancora dal profondo dell'angoscia, sfoga la propria miseria. È grido di aiuto, implorazione di perdono. Ma più inonda il cuore con il suo fluire incessante, più si pacifica e si riconcilia, per così dire, con il peccato. O piuttosto, essa finisce per distogliere lo sguardo dalla propria debolezza per fissare unicamente il volto della misericordia.
Il pentimento si tramuta allora, a poco a poco, in una gioia umile e discreta, in timore amoroso, e infine in azione di grazie. La colpa non è negata, non è scusata, ma si converte in perdono.
Là dove abbondava il peccato, la grazia non cessa di sovrabbondare (cf. Rm 5, 20). Tutto ciò che il peccato aveva distrutto, la grazia lo riporta a un incomparabile splendore. Se la preghiera porta ancora i segni della colpa e della miseria, si tratta ormai di una felix culpa, di una colpa assunta e avvolta dall'amore. La preghiera allora è prossima a divenire incessante eucaristia.
A. Louf, Repentir et expérience de Dieu, 41-42.
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