sábado, 6 de abril de 2013

La risurrezione della Parola


La passione del Logos fino alla morte in questo mon­do, pur comportando un'agonia e una morte della lo­gica, sembrava ancora suscettibile d'essere espressa in qualche modo con parole di quaggiù. Ma con quali pa­role descriveremo la logica della risurrezione, destinata per sua natura a forzare le tombe delle nostre idee, a sorpassare le nostre rappresentazioni temporali e spa­ziali, ad attraversare sovranamente le porte chiuse del concetto? Essa è a tal punto realtà spirituale che tutte le leggi della materia sono sospese; ed è insieme a tal punto realtà sensibile, che il Figlio di Dio non solo ap­pare, non solo parla, ma si fa sentire e toccare, e man­gia e beve insieme con i suoi.
La Parola è diventata del tutto divina ma è rimasta del tutto umana; e questa umanità, che sempre è stata espressione della sua divinità e ora ormai è stata rias­sunta nella sfera celeste, è così naturalmente credibile sulla terra, che nessuna distanza la separa da quag­giù, e che tutto il passato del cammino terreno è entrato nella verità eterna, come raccolto in quelle stigmate che egli mostra. Le stigmate sono più che un segno esterno, una specie di nobile emblema per il dolore che c'è stato; al di là dell'abisso della morte e risurre­zione che raggiunge la profondità dell'inferno, esse so-no l'identità della coscienza. E sempre lo stesso, che ha conosciuto questa vita, questa croce e questa morte. «Guarda le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!» (Lc 24,39). (...)
Il Logos della risurrezione, che sgorga dal miracolo della dimostrazione di potenza del Padre, integra in sé tutto ciò che egli era sulla terra, per rapirlo nella sfe­ra di questo miracolo, per trasfigurarlo, per sopraelevarlo; il Logos quindi conserva la continuità con il mondo della storia solo in quanto egli rinnova e co­struisce la storia a partire da questo nuovo inizio. Que­sto Logos, compreso nella sua novità, non può assolu­tamente essere compreso a partire dalle categorie del vecchio universo.
«Colui che sente in modo terreno non accetta le cose che sono dello Spirito di Dio, egli non può comprenderle, poiché esse devono essere giudicate in mo­do spirituale; ma lo spirituale giudica tutto, e non è giudicato da nessuno» (1 Cor 2, 14-15). Qui si inseri­sce la dottrina di Paolo: il credente è con-sepolto, con-risorge, addirittura con-ascende al cielo. (...)
E un costruirsi su Cristo (cf. Col 2, 7), un «essere associati alla sua pienezza» (Col 2, 9) mediante il «morire insieme a lui nel battesimo e risorgere insieme a lui per la fede nella potenza di Dio che lo ha risusci­tato dai morti» (Col 2, 12); poiché proprio «i nostri misfatti», «il certificato di debito che suona contro di noi» furono in lui «inchiodati sulla croce» (Col 2, 14). E così «attraverso la morte dell'Uno sono tutti morti» (2 Cor 5, 14) o anche, ciò che conduce alla stes­sa conclusione, «mediante l'opera di giustizia di uno solo viene su tutti la redenzione e la vita» (Rm 5, 18). «Insieme a Cristo essere morti agli elementi del mondo» (Col 2, 20) vuoi dire già perciò «essere ri­sorti con Cristo e pensare alle cose dell'alto, dove Cri­sto siede alla destra di Dio» (Col 3, 1-2). E esistenza nel passaggio che Cristo ha compiuto e che solo mediante questo compimento ha reso possibile anche per noi: «Spogliarsi dell'uomo vecchio con le sue opere e rive­stire l'uomo nuovo» (Col3, 9), che quindi non è affatto uno gnostico o contemplativo estraniato al mondo, ma sorge dalla concreta, attiva riproduzione in sé della condizione e dell'agire di Cristo: «Rivestitevi quindi come eletti di Dio, santi e amati, di viscere di misericordia, di bontà, di umiltà, di mitezza, di pazienza; sopportatevi a vicenda e perdonate..., come il Signore vi ha perdonato.
Soprattutto rivestitivi d'amore; esso è il legame della perfezione» (Col 3, 12-14). L'etica scaturisce dalla logi­ca di morte e risurrezione, poiché quella logica permet­te ai membri di Cristo di riconoscerla come credibile e di praticarla.
H.U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, 226-229

terça-feira, 2 de abril de 2013

Il tuo nome è Interno, alleluia!

Nolite mi tangere, San Pedro el viejo, Huesca Spagna.

Quanto lungo, per quanto breve cronologicamente e spazialmente, è il cammino che Maria deve percorrere per passare dall’«esterno» e dall’essere solo «vicino» (Gv 20,11) al sepolcro in cui cerca l’Amore crocifisso, a lasciarsi introdurre all’interno del mistero di Cristo ormai risorto. Il cammino che Maria vive accanto al sepolcro è il processo di conversione cui l’apostolo Pietro invita i suoi uditori al mattino di Pentecoste: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare» (At 2,38), ossia accetti di farsi innestare nella stessa vita del Risorto. Ci verrebbe da consigliare a Pietro di non insistere troppo sul passato, visto che tutto alla fine si è risolto per il meglio, anzi sembra che Gesù di Nazaret ci abbia persino un po’ guadagnato, visto che ormai si può proclamare e credere che sia stato «costituito Signore e Cristo» (2,36). Ma l’opera di Dio, per quanto magnifica e capace di rigenerare e riposizionare la storia, non è sufficiente senza il consenso della nostra volontà, che deve necessariamente passare attraverso la presa in carico delle proprie responsabilità.
Per questo Pietro, dopo aver esaltato l’opera di Dio, ricorda – prima di tutto a se stesso – quella dura verità che può schiacciare o può far volare: «… che voi avete crocifisso» (2,36). Per la stessa ragione, il Signore Gesù non si rivela immediatamente a Maria di Magdala e, soprattutto, non si rivela per quello che questa donna vede, ma per quel cammino di consapevolezza del dolore e del vuoto lasciato da Gesù nella sua vita che le permette di incontrarlo ricominciando ad ascoltare dalle sue labbra il suo stesso nome: «Maria!« (Gv 20,16). La domanda – o meglio le domande – che vengono poste a Maria sono le stesse che sentiamo risuonare nel giardino del nostro cuore, ove siamo chiamati a passare dalla tristezza dell’attaccamento al nostro dolore a una graduale apertura, nell’accoglienza di una gioia inedita e imprevista. Tutto ciò ci chiede di andare oltre noi stessi, pur nella verità di noi stessi che ci porta oltre la stessa nostra esperienza di risurrezione in un dinamismo centrifugo ed estroverso che, dall’interno di un cuore pacificato e guarito, si fa dinamico annuncio e non dolce intimismo. Nel pronunciare il nome da parte del Risorto e nella risposta di Maria, che lo chiama «Maestro», vi è una pedagogia che permette di passare dall’impersonale al personalissimo reciproco riconoscimento. Esso esige una giusta dose di rispetto e distanza, e un’accoglienza serena di quell’ordine che permette alla vita di dare il meglio: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre» (20,17). Così pure, al mattino, quanti ascoltano Pietro si sentono «trafiggere il cuore» e solo a partire dalla coscienza delle proprie responsabilità si apre un futuro: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2,37). Se è vero che la risurrezione non è una rivincita di Gesù su quanti lo hanno rifiutato fino a crocifiggerlo, è ancora più vero che la discreta vittoria pasquale sulla morte, che nasce dal rifiuto dell’amore, non è una storia a lieto fine in cui tutti sono felici e contenti, ma una storia che esige il coraggio di assumere il passato e volgersi verso l’avvenire attraverso scelte concrete ed esigenti nel presente: «Convertitevi…» (2,38).
Semeraro, M., La messa quotidiana, aprile 2011, 187-189,

segunda-feira, 1 de abril de 2013

Nel giardino della risurrezione

Miniatura, sec. XIII
Maria di Magdala non si reca al sepolcro per ungere il corpo di Cristo, ma per piangere. Nel quarto evangelo l'unzione è già stata fatta da Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea; Giovanni l'ha già descritta. Maria piange. Quattro volte Giovanni menziona queste lacrime. E ancora buio, è l'ora della tristezza e delle tenebre ma già si percepisce che la luce sta per risplendere.

Maria di Magdala vede la pietra rimossa dal sepolcro, corre allora da Pietro e dall'altro discepolo, quel-lo che Gesù amava, per confidare loro tutto il suo smarrimento: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto» (Gv 20, 13). Non sa più dove sia Gesù. Pietro e Giovanni vanno al sepolcro, vedono le fasce a terra e il lenzuolo che gli era stato posto sul capo, piegato a parte, poi se ne ritornano a casa. Il discepolo che Gesù amava è il primo a credere.

Maria di Magdala ritorna al sepolcro. Piange e si china verso il sepolcro: il vuoto totale. Non trova colui che ha amato. Pur sapendolo morto, lo cerca ancora con passione. Due angeli la interrogano: «"Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto". Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava li in pie-di, [cioè risorto], ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo". Gesù le disse: "Maria!". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbuní!", che significa: "Maestro"» (Gv 20, 13-16).

Gesù rivolge a Maria di Magdala la domanda che aveva rivolto tempo addietro in Galilea, quando chiamava i primi discepoli. «Chi cercate?» domandava Ge-sù ai due discepoli di Giovanni Battista che diverranno discepoli del Galileo. E come allora i due discepoli attribuiscono a Gesù il titolo di «Rabbi». Maria di Magdala, che riconosce Gesù quando la chiama per nome, esclama: «Rabbuní, Maestro!».

Cercando il suo Maestro dopo la sua morte, riconoscendolo quando egli pronuncia il suo nome, si fa discepola alla sequela del Cristo risorto, come lo era stata quando era in vita. Ha seguito Gesù in Galilea, l'ha seguito fino alla croce, lo segue ora nella sua risurrezione. Essa si volge verso Gesù, annota Giovanni; ci vuoi suggerire con queste parole che Maria si converte al Cristo risorto. Maria di Magdala crede alla sua risurrezione, trova vivente colui che cercava morto.

Giovanni si è preso cura di precisare che il sepolcro è posto in un giardino, evocazione possibile del giardino del Cantico dei Cantici. Come la sposa del Cantico, Ma-ria sconsolata si è messa a cercare il suo Signore che le era stato tolto. Come la sposa lo ha trovato e non lo lascerà più. «Ho trovato l'amato del mio cuore» (Ct 3, 4).

Maria di Magdala, chiamata «donna» da Gesù, personifica l'umanità alla ricerca di un salvatore. Sposa, è anche la nuova Eva. Nel giardino dell'Eden la prima donna era fuggita, nel giardino della risurrezione la donna riconosce il suo Maestro e non lo lascia più.

Alla brezza della sera, Dio conversava con colei che il peccato aveva sedotto; all'alba della risurrezione vie-ne ad asciugare le lacrime di colei che aveva liberato dai sette demoni. L'Eva della caduta diventa l'Eva della fede.

J.-L. Vesco, Marie de Magdala. Évangiles et traditions, pp. 25-28.