sábado, 23 de fevereiro de 2013

IL «NO» DI GESÙ AL TENTATORE È UN «SI» ALLA NOSTRA POVERTÀ

Farsi uomo significa divenire «povero», non avere niente con cui farsi forte di fronte a Dio, nessun sostegno, nessuna forza e si­curezza oltre all'impegno e al sacrificio del proprio cuore. Il dive­nire uomo appare in tal modo come confessione della povertà dello spirito umano di fronte alla rivendicazione totale dell'inac­cessibile trascendenza di Dio.

Con il coraggio di una tale povertà cominciò l'avventura divina della nostra salvezza. Gesù non si era tenuto niente, non si era attaccato a niente e non si difendeva con niente: nemmeno con la sua origine. «Egli non si fece forte della sua divinità», si legge in Paolo (Fil 2,6), «ma annichilò se stesso». Satana, invece, cerca di impedire questo auto-annichilamento, questa «povertà» radicale. Egli vuole fare Gesù forte, perché teme propriamente una cosa so-la: l'impotenza di Dio nella natura umana assunta, Dio nel cavallo di Troia di un cuore umano votato al sacrificio, che nella fedeltà incondizionata alla sua innata povertà soffre dall'interno – e quin­di si salva – il bisogno e la perdizione dell'uomo. Perciò il tentati­vo di Satana è un attentato all'auto-annichilamento di Dio e una tentazione alla forza che impedirebbe la venuta salvatrice di Dio nell'uomo – in mezzo alle tenebre e all'impotenza del suo bisogno –, una tentazione alla sicurezza e alla «ricchezza dello spirito».

Il tentativo di Satana costituisce dunque una tentazione alla divinità di Gesù, un sondaggio della serietà e della grandezza della sua umanità. Satana attenta sempre alla «forza» spirituale, alla di­vinità dell'uomo. Sin dall'inizio ha fatto e fa questo, e sempre lo riconosceremo alle parole: Eritis sicut Deus. Questa è la tentazione delle tentazioni, variata in mille modi: la tentazione contro la ve­rità della natura assegnata all'uomo. Satana sta per così dire dalla parte dei doceti e dei monofisiti. Egli vuole, in ultima analisi, che Dio resti solamente Dio e che il suo farsi uomo sia solamente uno spettacolo senza impegno, una mascherata, un travestimento in cui Dio gesticola senza impegnarsi in esso realmente. Egli vuole che il farsi uomo di Dio diventi una mitologia, un divino gioco di marionette. La sua «chance» è che la terra resti esclusivamente sua, e con essa anche l'uomo: l'uomo, intorno al quale si combat­teva prima che si destasse all'alba della sua libertà così da non essere mai richiesto e invitato alla libera decisione su se stesso in maniera disinteressata, ma sempre già o amichevolmente corteg­giato o astutamente attaccato.

«Tu hai fame – dice Satana a Gesù –. Però presto tu non avrai più fame; tu puoi far questo con un prodigio. Tu stai vacillando su un pinnacolo sopra un oscuro precipizio; ma presto non pro­verai più questo brivido, questa insicurezza, questo pericolo di precipitare nel vuoto: tu ordinerai per te mani di angeli che ti porteranno...». La tentazione di Satana è un appello a restare forte come Dio, senza pericolo alcuno, portato dagli angeli, «tenendo salda come una preda la sua divinità» (Fil 2,6), a non consegnarsi all'abbandono reale, alla precarietà effettiva della natura umana – a tradire il «deserto» (immagine primitiva della grande povertà dell'uomo) – e a svincolarsi dal nostro destino che grida al cielo. Perché umana è appunto la fame solamente quando non può essere estinta del tutto; umana è la nostalgia solamente quando può anche restare vana; e umano è lo stare e l'andare sopra i precipizi solamente quando non si può invocare nessuna mano che ci porti di là da essi.

La tentazione diventa così una suggestione a tradire l'uomo in nome di Dio (oppure – dialettica diabolica – Dio in nome dell'uomo). Ma il no di Gesù al tentatore è appunto un sì alla nostra povertà. «Egli non si è fatto forte della sua divinità» (Fil 2,6).
 
JOHAN BAPTIST METZ, Povertà nello spirito, Brescia 1974, 16-18.

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